La produzione esterna

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Ho cominciato ad occuparmi di regia video alla fine degli negli anni ’90 cercando di estendere l’esperienza acquisita in tanti anni di radio e trasponendola nel mondo dell’immagine. E’ stato un processo del tutto autonomo, nel senso che non ho avuto insegnanti o mentori, né ho partecipato a corsi di formazione. Sono quindi completamente autodidatta. Ho cominciato a realizzare i primi semplici video girandoli e montandoli da solo, affinando la tecnica man mano che procedevo. L’esperienza della regia video è andata avanti perciò insieme a quella del montaggio e della produzione.

I documentari più importanti che ho realizzato sono quelli che ho anche prodotto. E’ accaduto nell’arco di tre anni dal 2003 al 2005, quando si son create le giuste condizioni. Solo nel 2006 poi sono stato scritturato dalla Rai come regista televisivo, cosa che in qualche modo ha ufficializzato il nuovo status professionale. A quel punto ho potuto fare i conti con una vero e proprio organismo produttivo che non dipendeva dalle mie scelte. Di questa esperienza posso dare due giudizi del tutto personali: uno positivo, l’altro negativo.

Quello positivo è relativo alla constatazione che un prodotto dell’ingegno come quello di un documentario dovrebbe risultare sempre il frutto di un lavoro in team dove ogni elemento ha la sua competenza specifica e la sua importanza. Confrontarsi con certe condizioni che non puoi scegliere, ma ti sono imposte dalle circostanze è un modo per imparare ancora di più a specializzarti nel tuo ruolo, ad accettare le esperienze degli altri e sfruttare la sfida di far conciliare le diverse e spesso contrastanti esigenze dell’ambiente in cui ti trovi a lavorare.

E’ favorevole in questo senso avere uno spazio concesso ben definito in cui puoi esercitare il tue funzioni creative solo al suo interno, senza poter sconfinare. E’ una sfida estremamente prolifica che va a vantaggio della tua maturità professionale. C’è un tema che non hai scelto, con delle finalità di comunicazione che devi rispettare, un budget ben limitato, che caratterizzano la cornice entro cui devi dare il massimo nonostante i compromessi.

L’esperienza negativa è relativa alle condizioni in cui molto spesso si è costretti a lavorare all’interno dell’ambiente Rai in cui ormai quasi tutte le funzioni operative sono esternalizzate a ditte private. A parte quei rari casi in cui hai bisogno al volo di una telecamera e puoi girare tutto il palazzo senza riuscirne a trovare una, normalmente accade che ogni volta che esci a fare delle riprese non sai mai con chi ti troverai a girare. Ogni volta ti capita un troupe differente. Può essere che un giorno ti ritrovi a lavorare con un operatore di macchina estremamente bravo e un altro con uno che a stento sa tenere la telecamera in mano. Stesso discorso per il montaggio. I montatori di volta in volta possono cambiare e ognuno ha il suo proprio stile. Questo, all’interno della produzione di uno stesso documentario.

Vien da sé che è impossibile alla fine dare un carattere omogeneo a tutto il lavoro. Pur con tutta la buona volontà di accettare le sfide che ti si presentano, si può arrivare a certe condizioni in cui diventa difficile rispettare i minimi criteri estetici che ti eri imposto all’inizio. E’  una specie di catena di montaggio uniformante in cui la personalità professionale, con la tua creatività individuale, viene cancellata a favore di un prodotto aziendale omologato e piatto. So comunque che in altre grandi strutture come Mediaset, la situazione è ancora peggiore. In quella sede la gestione è completamente delegata al sistema dei turni, le persone cambiano a seconda dell’orario e questo vale spesso per il regista, quanto per l’operatore o per il montatore, ecc. Tutto sommato nella mia struttura questo non accadeva ancora.

Insomma per me che arrivavo da esperienze produttive autonome, i cui soggetti e gli elementi umani erano stati scelti da me, lavorare da regista in Rai non ha prodotto i migliori risultati che potevo realizzare. Comunque tutto è utile per approfondire l’esperienza.

Un esempio di produzione Rai in cui il mio intervento era limitato alla sola regia, è stato il documentario La terza via, il genere documentario, girato nel 2006, presente qui nel Portfolio.


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